Rembrandt a Padova: luci ed ombre di un artista
Con quaranta stampe e due capolavori conservati all’Ermitage di San Pietroburgo realizzati da Rembrandt van Rijn (1606-1669), i Musei Civici agli Eremitani di Padova hanno inaugurato lo scorso 26 novembre la mostra “L’Ermitage a Padova. Un omaggio a Rembrandt”(aperta fino al 30 gennaio 2012).
A giungere a Padova dall’Ermitage sono il “Ritratto di vecchia” e il “Ritratto di vecchio ebreo” dipinto, quest’ultimo, che la critica ha voluto identificare con i tratti del celebre Thomas Parr vissuto, secondo la leggenda, ben 152 anni. I due quadri pervennero al Museo grazie ad altri capolavori facenti parte, in precedenza, della collezione del conte Silvain-Raphaël Baudouin (1715-1797), che contava oltre 100 opere. L’esposizione di Padova, curata da Davide Banzato, Elisabetta Gastaldi, Mari Pietrogiovanna, Irina Sokolova è stata promossa dal Comune, dai Musei Civici Eremitani, dal Museo Ermitage con il contributo di Fisher Italia e Fondazione Antonveneta.
Rembrandt Harmenszoon van Rijn nacque il 15 luglio 1606 a Leida, nei Paesi Bassi. Era il quarto di sei figli sopravvissuti all'infanzia su dieci complessivi avuti dalla madre (il nono in ordine di nascita). La sua era una famiglia benestante nonostante il padre fosse un mugnaio e la madre la figlia di un fornaio (è dimostrato dai testamenti dei genitori deceduti rispettivamente nel 1630 e nel 1640). Per la sua intelligenza straordinaria Rembrandt fu avviato agli studi. Seguendo la sua naturale inclinazione, il giovane artista si dedicò alla pittura: arte che egli non considererà mai alla stregua di un mestiere artigianale, ma un ideale sul quale impegnarsi in una continua ricerca sul piano tecnico, coloristico ed emozionale. Nel 1625 Rembrandt decise di aprire una bottega e la sua bravura nei ritratti lo indurrà ben presto a trasferirsi ad Amsterdam, dove raggiunse fama e ricchezza. Tra tanta fortuna, egli dovrà però subire anche grandi dispiaceri, fra cui la morte di tre figli e dell’amata moglie Saskia, mentre un’irrefrenabile mania per il collezionismo antiquario lo porterà sull’orlo della rovina economica. Rimasto solo con il figlio Tito, si unirà con Hendrickje Stoffels che gli darà un’altra figlia a cui verrà imposto il nome di Cornelia. Ma i lutti in famiglia lo colpiranno ancora. Nel 1663 perderà la nuova compagna e, nel 1668, il figlio Tito. Le ultime disgrazie segneranno a tal punto l’artista da affrettarne la morte che avverrà nel 1669, un anno dopo la scomparsa del figlio. Il catalogo delle sue opere è vastissimo e capace di sfiorare ogni ambito dell’esistenza umana interpretando la storia come esperienza vissuta, tanto che il tema della vecchiaia rappresenterà una costante nelle sue opere. Nei ritratti dell’ultimo periodo della sua vita a cui appartengono le opere in mostra a Padova, firmate e datate 1654 (valore assicurato 30 milioni di euro), i personaggi sprofondano in una sorta di introspezione che li allontana dal mondo esterno alla ricerca di una verità interiore. La pittura di Rembrandt, col suo attento dosaggio di luci e ombre, ha influenzato intere generazioni di artisti, inclusa la pittura veneta contemporanea: stampe e imitazioni ne fecero conoscere l’opera a Venezia e poi nel resto della regione.
Nel campo dell’incisione, il virtuosismo tecnico di Rembrandt non ha paragoni. Si parla impropriamente di acqueforti perché quasi tutte le lastre dopo la morsura sono riprese a punta secca e bulino. Nel 1686 Filippo Baldinucci scriveva: “Fu una bizzarrissima maniera, ch’egli s’inventò, d’intagliare il rame all’acqua forte con certi freghi e freghetti e tratti irregolari facendo però risultare dal tutto un chiaro scuro di gran forza ed un gusto pittoresco fino all’ultimo segno”. E’ il contrasto di luce ed ombra unito ad segno fluente il quale, interagendo con il bianco della carta, promuove forme di luce che squarciano l’ombra.
L’attività di Rembrandt nel campo della grafica è documentata nella mostra allestita a Padova attraverso una sezione che raccoglie una quarantina di stampe provenienti dalle raccolte civiche (Museo d’Arte e Museo Bottacin) e dalla collezione del marchese Federico Manfredini (Rovigo 1743- Campoverardo 1829), conservata presso il Seminario Vescovile di Padova.
Figura di spicco della politica toscana al tempo dei Granduchi, il Manfredini fu abile politico nello scenario europeo al tempo di Napoleone, con il quale si incontrò più volte nell’illusione di poter evitare l’invasione francese della Toscana. Uscito dalla vita politica, il Manfredini si ritirò nella propria villa di Campoverardo, in provincia di Venezia, e si dedicò alle proprie collezioni di pittura e alle antiche stampe delle quali possedeva un ricco catalogo. Alla sua morte, il marchese lasciò i dipinti della sua collezione (tra cui uno splendido Filippino Lippi) al Seminario Patriarcale di Venezia e le antiche stampe al Seminario Vescovile di Padova, dove tuttora si conservano e che oggi trovano, seppur in minima parte, i favori dell’esposizione pubblica.
Per quanto riguarda Rembrandt, uno dei suoi capolavori unanimemente riconosciuti esce proprio dalla Biblioteca del Seminario Vescovile di Padova. Si tratta dell’incisione chiamata “Stampa dei cento Fiorini” che illustra l’intero capitolo XIX del Vangelo di Matteo. Il curioso nome è dovuto dallo straordinario prezzo attribuito all’opera nel Seicento per la sua bellezza e ricercatezza nell’esecuzione da parte dell’artista che, attraverso l’uso di procedimenti e tratteggi variati, è riuscito a conferire un sorprendente effetto pittorico d’insieme.