L'India da Terzo Mondo non esiste più
L’India, per anni considerato un Paese del terzo mondo, sta rapidamente scalando posizioni nella graduatoria delle principali economie mondiali: secondo i dati aggiornati al primo semestre 2011, l’economia indiana si colloca infatti al nono posto in termini di ricchezza complessiva nominale e in quarta posizione sulla base della ricchezza reale. In questo secondo caso, l’indicatore viene calcolato attraverso la parità del potere d’acquisto, cioè quantificando quanti soldi servono per acquistare un determinato paniere di beni e servizi: nella graduatoria l’India risulta essere preceduta soltanto da Stati Uniti, Cina e Giappone.
In generale l’economia indiana non ha subito grandissimi contraccolpi dovuti alla crisi internazionale: la crescita dell’economia, misurata dalla variazione percentuale del Pil è stata infatti dell’8,5% nel periodo aprile 2010-marzo 2011 (l’anno fiscale indiano inizia ad aprile), riportandosi su valori vicini a quelli pre-crisi. Dal 2004 al 2008 il Pil indiano si era mantenuto ben sopra l’8%, con un picco del 9,7% nel 2007-2008, mentre nel 2008-2009 e nel 2009-2010 l’incremento del prodotto interno lordo è stato rispettivamente del 6,1% e del 6,2%.
La performance del Pil nell’anno fiscale 2010-2011 indica una notevole reattività dell’economia rispetto alla crisi finanziaria dell'ultimo triennio, e il merito di questo risultato va attribuito soprattutto all’azione congiunta delle autorità di politica fiscale e monetaria, impegnate in un processo di alleggerimento delle misure di stimolo che rischiano di surriscaldare l’economia e di favorire una produzione troppo alta rispetto sia alla domanda interna che a quella internazionale. Il tasso di crescita del Pil nel primo trimestre dell'anno fiscale 2011-2012 (aprile-giugno 2011, ultimo dato disponibile) è stato del 7,7% per cento.
Nel primo semestre 2011 il settore terziario ha dato il maggior contributo alla formazione del Pil (58%), seguito dall’agricoltura e dall’industria che hanno avuto un peso rispettivamente del 14% e del 28%. In realtà va notato che nel periodo 2010-2011 è stata particolarmente brillante la performance del settore agricolo, favorito da una stagione monsonica migliore delle attese che ha determinato una crescita del comparto del 6,6% contro lo 0,4% dell’anno precedente.
Il Governo indiano ha poi recentemente annunciato di voler introdurre la National Manufacturing Policy (politica nazionale per il settore manifatturiero) con l’obiettivo di alzare la quota del comparto manifatturiero-industriale sul Pil dai livelli attuali fino al 25% nell’anno fiscale 2025-2026. L’obiettivo è molto ambizioso perché richiederebbe, oltre a una crescita media del Pil del 9%, anche una crescita del comparto industriale del 13% annuo e la creazione di circa 100 milioni di nuovi posti di lavoro.
Nel primo trimestre dell’anno fiscale 2011-2012 la produzione industriale ha mostrato un rallentamento della crescita, portandosi al 5,1% su base annua: questo in gran parte è dovuto al calo degli investimenti indotto dalla politica di rialzo del tasso di interesse perseguita dalla Banca Centrale indiana nel corso del 2011, con l’obiettivo di tenere a freno l’inflazione.
Ed è proprio la pressione inflazionistica a destare le maggiori preoccupazioni nelle autorità indiane, in quanto oltre a essere elevata da qualche anno, non accenna a diminuire. I prezzi al consumo hanno infatti fatto registrare aumenti consistenti nell’ultimo triennio: nel 2009 sono saliti del 10,9%, nel 2010 addirittura del 12%, mentre nel 2011 il rialzo è stato più contenuto e pari all’8,3%. Ad agosto 2011 (ultimo dato disponibile) l'inflazione ha fatto registrare una variazione annuale del 9,8%, dovuta soprattutto all’aumento dei prezzi dei beni primari non alimentari, ai combustibili e ai prodotti del settore manifatturiero.
Le preoccupazioni della Banca Centrale, che vuole attenuare l’impatto chiaramente negativo dell’inflazione sulla crescita reale dell’economia, sono concentrate soprattutto sui prodotti del settore manifatturiero che secondo le previsioni dovrebbero avere un trend di crescita annuo di medio termine del 4%. Ebbene, le autorità ritengono che l’andamento di questo comparto in particolare rifletta il carattere oramai generalizzato delle pressioni inflazionistiche, estese ai prezzi dei combustibili, ai salari e al costo dei servizi per la produzione, e attesti che le imprese, che operano con un elevato livello di utilizzo della capacità produttiva, stiano di fatto spostando sui consumatori il costo crescente delle materie prime e dei salari.
Inoltre il problema inflazione è strettamente legato anche agli squilibri della finanza pubblica, che a causa anche della presenza di numerosi sussidi e prezzi agganciati all’aumento del costo della vita, sta evidenziando minori entrate e maggiori spese rispetto agli anni precedenti, rendendo poco probabile il rispetto degli annunci di rigore fiscale del governo.
Data la criticità del problema inflazione, la Banca Centrale indiana ha come obiettivo primario il contenimento del livello dei prezzi, e per questo è disposta a sacrificare parte della crescita del Paese raffreddando l’economia: l’orientamento della politica monetaria a partire dal primo trimestre 2010 è stato quindi diretto ad assicurare un livello dei tassi relativamente elevato per moderare l’inflazione, a preservare la stabilità finanziari e a mantenere la liquidità del sistema sostanzialmente in equilibrio. I tassi sono stati perciò alzati progressivamente dal 4,75% del marzo 2010 all’8,25% del settembre 2011, e la Banca Centrale ha intrapreso il percorso restrittivo più aggressivo tra le principali economie del mondo.
Per quanto riguarda il commercio estero, l’andamento dell’import-export indiano riflette la forte crescita dell’economia, con un aumento consistente dei volumi che ha portato l’import ad aumentare di cinque volte in 10 anni arrivando a circa il 30% del Pil, e l’export a crescere fino a circa il 25% del Pil. Gli ultimi dati forniti dal Ministero del Commercio indiano (primi 5 mesi del 2011-2012) mostrano che l’interscambio commerciale è salito del 46% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, con una crescita delle esportazioni del 54,2% e un incremento delle importazioni del 40,4%; nello stesso periodo il deficit commerciale indiano è salito del 15%.
L’Unione Europea rimane il principale fornitore dell'India con una quota del 12,6% nell’anno fiscale 2010-2011, seguita dalla Cina (11,4%) che in 10 anni ha moltiplicato di oltre 20 volte la propria quota. La Cina si conferma comunque come primo fornitore dell’India, seguita dai paesi arabi produttori di petrolio (l’India dipende infatti per più di due terzi del proprio fabbisogno dalle forniture estere); tra i paesi avanzati segnaliamo la Svizzera con una quota del 6,16%, gli Stati Uniti (5,26%) e l’Australia (3,4%). Primo fra i paesi UE è la Germania, con una quota del 3,25%, mentre l’Italia ha una quota dell’1,16%.
Sul fronte delle esportazioni, gli Emirati Arabi Uniti sono il primo paese di destinazione delle merci indiane con una quota 13,51% sul totale, seguiti dagli Stati Uniti (10,17%) e dalla Cina (7,69%). L’Unione Europea nel suo complesso rappresenta il primo mercato per l’India, con una quota complessiva del 18,55%. Tra i paesi europei troviamo al primo posto i Paesi Bassi (3% sul totale delle esportazioni indiane), seguiti da Regno Unito, Germania, Belgio, Francia e Italia (1,81%). (Maurizio De Pra)