Per gli acquisti di scarpe? Si attende la fine della stagione

Stiamo entrando in una nuova era per il mercato delle calzature italiano? È questa la domanda di fondo che è stata discussa durante l’Assemblea Annuale 2011 del Gruppo Giovani di ANCI, Associazione Nazionale Calzaturifici Italiani, dedicata al tema “Le velocità della moda. Marchi, stile e prodotti per il lifestyle del futuro”. Durante il workshop sono stati inoltre presentati i risultati preliminari della ricerca “Parlare al consumatore: modelli per competere sul mercato italiano delle calzature” con un’analisi dei dati sui consumi della famiglie italiane e di come si sta modificando l’approccio all’acquisto. Dalle anticipazioni di tali analisi emergono alcuni dati significativi rispetto all’andamento dei consumi di questo ultimo decennio che potremmo definire di lenta consunzione. Nell’ultimo decennio infatti non ci sono stati grandi pic- chi in alto o in basso, ma quando il mercato estero cresceva quello interno cresceva meno, quando in- vece il mercato internazionale rallentava, l’arretramento era meno consistente ma finiva per incidere in modo strutturale sui consumi. Il 2010 si è chiuso con un consumo interno totale delle calzature pari a 190,3 milioni paia e 3,5 miliardi di euro (prezzi franco fabbrica) che rappresentano rispettivamente un calo dello 0,6% e dello 0,4% rispetto al 2009 anno in cui (a differenza delle esportazioni) i consumi non erano crollati (-1,2% e -0,7% le variazioni del 2009). Questi dati si riferisco- no ai consumi totali ovvero quelli delle famiglie italiane, quelli delle comunità (ospedali, forniture ad aziende pubbliche e private ecc..) e quelli dei turisti stranieri presenti in Italia. Se guardiamo ai soli consumi delle famiglie italiane (che costituiscono l’83% dei consumi) i dati confer- mano un andamento tendenzialmente piatto, con una stagnazione di medio periodo che ha caratterizzato l’intero decennio, al punto che i risultati del 2010 (158,4 milioni di paia e 6,3 miliardi di euro) rappresentano più o meno i livelli dell’inizio del decennio (i dati sono quasi identici ai livelli del 2003). “Non possiamo prescindere da cosa è successo sul mercato ita- liano in questi ultimi anni: il reddito pro capite a parità di po- tere d’acquisto dell’Italia, posto a 100 quelli dei 27 Paesi della UE, è oggi 98,6 mentre nel 2000 era 117 pressoché eguale a quello di Germania, Francia, Regno Unito – afferma Enrico Paniccià, presidente del Gruppo Giovani di ANCI. Al di là di questo scenario generale, i consumi di calzature sono rimasti pressoché stagnanti, il prezzo medio è cresciuto meno dell’inflazione e il mercato è oggi conteso da un numero superiore di competitori visto che quasi tutti i marchi dell’abbigliamento hanno introdotto le calzature nelle loro collezioni”. In questo scenario, il consumatore italiano ha però cambiato progressivamente il modo di acquistare il prodotto perché alcune strategie difensive di risposta alla crisi economica e al basso clima di fiducia stanno ormai diventando componente strutturale dei comporta- menti di acquisto. Un esempio evidente nasce dall’analisi dell’andamento dei consumi delle famiglie italiane per mese. Nelle due stagioni (primavera- estate e autunno-inverno) i due mesi finali delle rispettive stagioni contano sempre di più sul totale degli acquisti e ciò è particolarmente vero per la stagione invernale (gennaio e febbraio) e per le calzature a più alto valore aggiunto (con tomaie in pelle). All’inizio del decennio la quota degli ultimi due mesi della stagione invernale era del 14,2% se misurata in acquisti in paia e del 14% se misurata in acquisti in euro, mentre nel 2010 ha raggiunto rispettivamente il 15,7% e il 15,4%. In altre parole gli acquisti della stagione si stanno lentamente spostando verso la sua coda in modo strutturale. Ciò è vero soprattutto per la stagione invernale, visto che in agosto molti punti vendita chiudono per le vacanze estive, esiste un limite strutturale a tale spostamento nelle ultime settima- ne dell’estate. Ma come possiamo interpretare questo spostamento? Si tratta di un’attesa del momento più favorevole per effettuare gli acquisti che coincide con le vendite scontate ed è evidente che questa attesa non sia più una strategia per superare la crisi ma rappresenti un cambiamento strutturale del comportamento di acquisto del consumatore italiano – precisa il presidente del gruppo Giovani di ANCI Enrico Paniccià. I saldi però non sono l’unica spiegazione. In parte ciò è dovuto alla percezione del consumatore che in quei mesi ritiene più probabile fare af- fari e, per questa ragione, accetta di spendere avendo la sensazione di risparmiare.” I saldi sono quindi determinanti, ma non sono l’unica spinta all’acquisto: lo dimostra il fatto che paragonando la media dei prezzi effettivamente pagati dai consumatori dei primi mesi della stagione con i mesi finali, il prezzo medio scende ma meno di quanto ci si potrebbe aspettare per effetto degli sconti dei saldi. In particolare la differenza tra prezzo medio nel periodo settembre-dicembre e prezzo medio nel periodo gennaio- febbraio è del 10% nel 2010 (14% se si considerano le sole calzature in pelle). In estate la differenza sale rispettivamente al 21% per il tota- le delle calzature e al 23% per le calzature in pelle. L’abbassamento meno consistente di quanto ci si aspetterebbe del prezzo medio nei mesi finali della stagione è spiegabile in più modi: da un lato si acquistano in saldo le scarpe più care, dall’altro le vendite a prezzo scontato caratterizzano ormai tutta la stagione e ciò abbassa il prezzo medio anche nei mesi iniziali della stagione. L’effetto congiunto di questi due fattori porta a rendere il prezzo medio pagato nei singoli mesi più simile e l’oscillazione meno significati- va. “Possiamo guardare a questo cambiamento in più modi ma è un dato di fatto che il 35,2% del- le calzature sono acquistate nel finale della stagione – conclude Enrico Paniccià -. Ciò ci deve interrogare su entrambi i fronti ovvero quello del punto vendita e quello del consumatore. Per il consumatore si tratta di capire come indurre l’idea della scarsità, ovvero fargli percepire che alcuni prodotti non saranno scontati né potranno essere trovati in saldo, come sono state capaci di fare al- cune aziende nell’abbigliamento. Sul fronte distributivo dobbiamo capire se e come cambiano le tempistiche di consegna, produzione e persino di creazione visto che un terzo del mercato avviene nei mesi finali di stagione. È uno spunto di riflessione, ma che for- se dovrebbe indurci a ripensare la filiera.”
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