Massimo Pavin: «Pronti a giocare la partita globale»

«Cambiamento, velocità, innovazione. Sono le “chiavi” del nostro tempo. I paradigmi di una competizione che negli ultimi anni ha assunto caratteristiche inedite e richiede strade nuove». Strade che per le aziende fanno leva su cinque perni: internazionalizzazione, innovazione, logistica integrata, reti e aggregazioni, finanza per crescere. Ha le idee chiare Massimo Pavin, 46 anni, dal 31 gennaio scorso nuovo presidente di Confindustria Padova, tra le prime dieci territoriali del sistema Confindustria con 1.800 aziende associate e 67mila addetti. Già vice presidente, dopo aver guidato i giovani edili, poi la sezione gomma-plastica e la delegazione di Cittadella, Massimo Pavin è stato eletto con il 94% dei consensi. È presidente e amministratore delegato della Sirmax di Cittadella (Pd), leader mondiale nella produzione e distribuzione di materie plastiche, con 150 dipendenti, un fatturato consolidato di 140 milioni nel 2010 e clienti come Bosch, Indesit, Whirlpool, Kaercher, Philips, Samsung, Fiat, Volksvagen, PSA. Laureato in ingegneria civile all’Università di Padova e con un master in business administration alla Bocconi che per sei mesi l’ha portato a farsi le ossa in Florida, Pavin è un “uomo-azienda”. Se non è in riunione con i suoi collaboratori o nel reparto produzione, è in giro per l’Italia o è volato all’estero per perfezionare un contratto o curare in prima persona i clienti in Europa, Medio Oriente e in Asia. Energico e diretto, sposato e con tre figli, ha una grande passione per lo sport, mountain bike, sci e calcio. E il sabato non è raro incontrarlo allo stadio Tombolato, a tifare per la squadra del cuore, il Cittadella, di cui il padre Giancarlo è vice presidente. Presidente Pavin, è un’immagine sportiva anche quella che ha lanciato dall’assemblea per descrivere gli effetti della crisi: è cambiato il campo da gioco, devono cambiare anche i giocatori. Cosa significa? «Negli ultimi tre anni abbiamo visto scorrere davanti a noi una crisi epocale, che ha modificato la geografia economica. Nel 2010 la crescita mondiale è stata di quasi il 5% l’anno, un tasso elevato, simile a quello pre-crisi. La ripresa globale è tornata vigorosa, ma l’Italia fatica ad andare oltre l’1% del Pil. Più che alla diagnosi, dobbiamo guardare al nuovo scenario economico, passato da locale a globale. La globalità è diventata elemento strutturale. Il baricentro della crescita mondiale si sta spostando verso i paesi emergenti, che da luoghi di produzione si stanno trasformando anche in centri di consumo. È uno scenario che richiede nuove visioni, strategie e strumenti innovativi. È cambiato il campo da gioco, devono cambiare anche i giocatori: imprese, banche, relazioni industriali». In che modo le imprese devono ripensarsi? «Nel Nord Est del capitalismo molecolare e diffuso, il solo “saper fare” dell’imprenditore non sarà più sufficiente per garantire un futuro di crescita alle aziende. È una consapevolezza sempre più diffusa, che ha accelerato la ristrutturazione, iniziata già prima della crisi. Le imprese hanno reagito, hanno saputo riorganizzarsi, innovare i prodotti e il contenuto di servizio, presidiare (local su local) nuovi mercati, integrarsi in filiere estese internazionalmente. Per queste imprese l’attività è ripartita già nel 2010, spinta soprattutto dalla domanda estera. La strada per riportarci sui livelli pre-crisi è ancora lunga. Ma i numeri di oggi autorizzano un cauto ottimismo». E gli altri giocatori? «Devono cambiare marcia e fare la propria parte. La politica, innanzitutto, deve tornare a concentrarsi sulla crescita, mettendo da parte i conflitti e i tatticismi. L’accesso al credito è un altro tema decisivo, proprio mentre si profila la ripresa, ancora debole però ed esposta a nuovi rischi. L’alleanza banca-impresa, il rapporto fondato sul dialogo e la trasparenza, è stato decisivo per tenere nella crisi. Oggi può esserlo per spingere la crescita. Le banche non facciano mancare liquidità agli investimenti e ai piani di sviluppo, stiano al fianco delle nostre imprese nelle iniziative all’estero. Il modello di “banca del territorio”, la prossimità e la partecipazione al progetto d’impresa che esso rappresenta, devono agire anche nella dimensione internazionale. Se si realizzeranno queste condizioni, se ci sarà l’impegno di tutti, anche del sindacato per l’obiettivo comune della produttività, credo che il 2011 abbia buone probabilità per essere l’anno del vero punto di svolta». Anche le relazioni industriali sono a una svolta. «Piaccia o no, quello che è avvenuto prima a Pomigliano e poi a Mirafiori, è destinato a segnare profondamente le relazioni industriali. La competitività e la produttività sono le condizioni per garantire crescita, investimenti e occupazione. È ora necessario costruire con il sindacato un quadro di rapporti più moderno che unisca due obiettivi: più flessibilità per le imprese, per meglio utilizzare turni, orari e straordinari; più retribuzione detassata per i lavoratori, più solide speranze di ricollocamento e più opportunità per i giovani. È una sfida che richiede partecipazione e reciproca fiducia, per mantenere qui, nel Veneto, un tessuto economico e sociale competitivo, solidale ed integro». Le condizioni, ha detto in assemblea, vanno create anche nel nostro territorio. «A cominciare da una politica industriale e delle infrastrutture che accompagni il riposizionamento delle imprese. La Regione Veneto ha da poco varato una delle finanziarie più difficili a causa del drastico taglio dei trasferimenti nazionali. Le politiche industriali e di sviluppo dovranno per forza sperimentare percorsi nuovi. Penso a dispositivi di incentivazione fiscale per innovazione e ricerca, come accade in molte zone d’Europa; a un contratto regionale per le reti d’impresa che offra forme reali di vantaggio per chi condivide conoscenze, formazione e innovazione. Penso al varo di quell’Agenzia per l’internazionalizzazione attesa da tempo, per mettere ordine nelle attività di promozione e di supporto delle aziende all’estero». C’è però un limite da superare, culturale e operativo: il campanile. «È vero. Il nuovo scenario richiede visioni innovative, anche localmente. Dobbiamo avere la saggezza di valorizzare i vantaggi e stemperare le debolezze del policentrismo veneto. Superare la “dispersione” che mortifica i progetti più ambiziosi e le potenzialità di crescita. Dobbiamo farlo, non solo nei dibattiti, ma nella concretezza degli atti amministrativi. Concentrare i progetti e le risorse, costruire un sistema territoriale capace di reggere la competizione internazionale con nodi infrastrutturali adeguati, poli universitari e di ricerca autorevoli, competenze terziarie evolute. Non commettendo l’errore drammatico del piccolo cabotaggio locale, degli inutili doppioni, come sugli interporti. Ma valorizzando le eccellenze che già ci sono, dalla logistica integrata al trasferimento tecnologico, e che possono crescere a vantaggio di tutto il Veneto. Riusciremo a farlo solo attraverso una lungimirante visione di area vasta». Appena eletto, ha sottolineato l’esigenza di un legame ancora più stretto tra l’Associazione, il territorio e il suo sviluppo. Come si fa? «Non sottraendoci al dibattito locale, al contributo che ogni Associazione ha il dovere di offrire allo sviluppo del proprio territorio. Lo faremo con la consapevolezza del nostro ruolo, in un confronto aperto con le istituzioni - Regione, Provincia, Comuni - con indipendenza e autonomia. Puntando su proposte concrete e fattibili, volte a creare sviluppo, a ridare serenità agli operatori, lavoro e speranza alle famiglie. Lo faremo anche nell’ambito della Camera di Commercio, il luogo dove le politiche economiche maturano nella collaborazione di tutti gli attori locali, in forte sinergia con le altre Associazioni di categoria padovane». Qual è la sua opinione sul federalismo? «È un’opinione chiara e pragmatica, senza ideologie. Il federalismo è un’opportunità di miglior governo se riduce i costi per i cittadini e le imprese e non aumenta le tasse, se taglia i tempi delle decisioni e la spesa pubblica improduttiva, se rende più facile fare impresa, se sostiene la ricerca e l’innovazione. È questo, non altro, il federalismo che ci interessa». L’ACRiB compie quest’anno mezzo secolo di vita. Secondo lei, quali sono le potenzialità future di questo distretto, così strategico per l'economia locale e nazionale? «L’esperienza dell’ACRiB è nata 50 anni fa come una rete di imprese ante litteram che ha reso grande e rinomata l’immagine del Veneto industriale e ha promosso con successo il made in Italy nel mondo, coniugando tradizione e innovazione, radicamento locale e apertura globale. Purtroppo la crisi non ha risparmiato imprese né settori, ma oggi si intravedono segnali positivi di un’inversione di tendenza. Gli ultimi dati sull’export registrano una crescita per il distretto delle calzature. Una cosa è certa: alta qualità produttiva, invenzione e stile italiano, flessibilità e presidio di nuovi mercati resteranno in futuro fattori chiave di successo. Insieme a modelli di marketing e di business innovativi, in sintonia con i nuovi profili di consumo e le dinamiche distributive».
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