Calzature, come cambia la distribuzione
Dove sta andando il settore calzaturiero
italiano? Come sta cambiando la domanda
internazionale del made in Italy
e le filiere? A queste domande cerca di
dare una risposta lo studio “Innovazione
e nuovi modelli di sviluppo per il
settore calzaturiero in un mondo della
moda e della distribuzione in rapida
evoluzione”, commissionato da Anci a
The European House-Ambrosetti.
“Non c’è dubbio che il nostro settore
abbia visto negli ultimi anni trasformazioni
epocali - dichiara il presidente di
Anci, Vito Artioli - dopo la crisi che ci
ha colpito possiamo dire che le aziende
italiane di calzature hanno saputo più
di quelle di altri settori reagire e riprogettarsi.
Questo però non può bastare:
oggi dobbiamo guardare lontano, ripensando
a quale ruolo avrà la distribuzione
indipendente e quale quella organizzata,
come evolverà la filiera”.
Nello studio sono stati analizzati gli scenari
ipotizzabili per il futuro sul fronte
produttivo, distributivo e di mercato,
guardando alle evoluzioni del consumatore
e del suo modo di interpretare
e vivere il prodotto. Il settore calzaturiero
italiano dovrà dimostrare elevata
flessibilità e capacità di reagire al cambiamento
attuando ad esempio modelli
di gestione della distribuzione orientati
a una maggiore collaborazione tra produttore
e distributore, capaci di favorire
maggiore scambio informativo al fine di
ottimizzare i riassortimenti dell’offerta
sul punto vendita e lo sviluppo quindi
di modelli più veloci di risposta al mercato.
Il primo modello identificato è quello
della subfornitura, generalmente adottato
dalle aziende che presidiano le fasi
più a monte della filiera. Questo modello
prevede una forte focalizzazione sullo
sviluppo del prodotto e sul processo
produttivo (lavorazioni di eccellenza,
prevalentemente “made-in-Italy”). I
principali clienti di questo tipo di aziende
possono essere sia le griffe/marchi del
settore fashion/lusso che gli operatori
della distribuzione moderna. Al lato
opposto ci sono invece le aziende che
hanno intrapreso (in genere tra la metà
degli anni ’90 ed oggi) una politica di
sviluppo di un proprio brand (con più
linee e collezioni). Si tratta di un modello
di business che, per sua stessa natura,
richiede significativi investimenti e risorse
(in struttura e progetti) sul fronte
marketing e commerciale (attraverso
reti di agenti e investimenti diretti in Paesi
strategici).
“Il nostro Paese ha dimostrato di poter
crescere in questo settore sia con il primo
che con il secondo modello grazie
alla nostra capacità creativa, la nostra
artigianalità ma anche con la capacità
di sviluppare un marchio e una distribuzione
coerente - prosegue il presidente Artioli - Interessante però è lo sviluppo
di un modello di business capace di
presidiare tutti gli stadi della filiera e ove
possibile, la stessa distribuzione.”
Nel terzo modello il presidio del canale
distributivo (con negozi di proprietà,
formule di partnership quali il franchising
o con lo sviluppo di propri concept
e format inseriti nella distribuzione multimarca)
e l’introduzione di efficaci politiche
di merchandising, ha consentito
a queste aziende di recuperare efficienza
ridistribuendo il rischio lungo l’intera
filiera e catena del valore di proprio dominio.
Queste aziende sono state cioè
capaci di riprogrammare la propria filiera
produttiva in funzione delle reali
esigenze del mercato.
Viceversa nel quarto modello le aziende
presidiano soprattutto le fasi “a valle”
della filiera (branding, marketing e
distribuzione) e si rivolgono al settore
calzaturiero sapendo di trovare tutte le
necessarie competenze di prodotto e
produzione per attuare il proprio modello
di business. Le decisioni di make
or buy sono sempre fatte in relazione ai
margini-obiettivo, ma anche alla volontà
di mantenere un eccellente rapporto
qualità/prezzo.
“Di fronte a questi cambiamenti e ai
modelli di business messi in atto dalle
imprese italiane - afferma il presidente
di Anci - possiamo oggi identificare
quattro macro indicazioni strategiche.
Il primo è chiaramente quello di affrontare
l’immediato e i prossimi anni
con una chiara visione strategica. Dopo
che per anni ci siamo sentiti dire che il
nostro settore era un settore povero di
innovazione e destinato ai Paesi a basso
costo della mano d’opera - oggi, più che
mai - dobbiamo riaffermare al mondo
quanto sia unico e vincente il sistema
italiano, la nostra filiera integrata, la nostra
cultura imprenditoriale. Per questo
il secondo elemento da perseguire è la
crescita del nostro capitale umano, la
nostra vera risorsa insostituibile”.
“Il terzo e quarto punto strategico - conclude
Vito Artioli - prospettano invece
la possibilità per le imprese di fare un
salto dimensionale attraverso leve finanziarie
efficaci e attrazione di capitali di
rischio esterni (Private Equity, Capital
Markets, ecc.) ma anche attraverso i
collegamenti più o meno formali tra le
imprese. Fare più sistema e innovazione
congiunta per stimolare lo sviluppo
di nuove competenze, nuovi mercati e
trasferire best practices è oggi essenziale.
Dobbiamo perseguire sempre di più accordi
di collaborazione orizzontale e/o
verticale rispetto alle singole aziende, ai
distretti, alle regioni. Si tratta di superare
le logiche puramente individualistiche
per raggiungere obiettivi maggiori e
maggiormente redditizi”.
(Federico Lovato)