Bahrain, il piccolo regno tra due mari
Il Bahrain, piccolo regno situato su un arcipelago di 33 isole nel Golfo Persico, ha un’economia che a differenza di quello che si potrebbe pensare vista la sua collocazione geografica, non dipende quasi interamente dal petrolio. Le riserve e la produzione petrolifera sono infatti molto limitate rispetto agli altri paesi del Golfo: il Bahrain ha un solo campo petrolifero e di gas inshore, con riserve complessive di circa 125 milioni di barili, dal quale sono estratti quotidianamente circa 33 mila barili di greggio e 500 milioni di piedi cubi di gas. Inoltre condivide con l’Arabia Saudita, per una quota di circa 150 mila barili al giorno, i proventi derivanti dalla produzione del campo petrolifero offshore Abu Saafa. La produzione di petrolio e gas naturale non è quindi molto alta, ma va detto anche che il Bahrain importa molto petrolio per alimentare la sua unica grande raffineria, la cui produzione viene quasi interamente esportata.
L’economia del piccolo regno dipende infatti quasi interamente dall’export, favorita sostanzialmente da due fattori: da un lato la posizione geografica del Bahrain è strategica e nel tempo si è imposto come un centro commerciale di importanza primaria; dall’altro i lunghi periodi di instabilità a livello internazionale e in alcuni altri paesi vicini (l’Arabia Saudita prima, l’Iran poi) hanno favorito il piccolo Bahrain, permettendogli di diventare un centro stabile e sicuro per i servizi e la distribuzione nell’intera area del Golfo, e favorendo anche gli investimenti stranieri, incoraggiati tra l’altro da un tasso di cambio rimasto praticamente invariato per oltre un ventennio.
Così tra i principali settori dell’economia, oltre al settore oil (che pesa per circa il 25%) troviamo il settore finanziario e immobiliare (circa 32%), l’industria manifatturiera (13%), la pubblica amministrazione (12%), il commercio e la ristorazione (12%), i trasporti, le comunicazioni (6%). Infine va menzionata l’industria dell'alluminio, che tra il 2004 e il 2009 ha accresciuto la produzione di tonnellate annue passando da 550.000 a più di 800.000, facendo così registrare un aumento del 59%.
Ma diamo uno sguardo ai fondamentali dell’economia. Il Pil segue da anni un tasso di crescita molto sostenuto, tra il 5% e l’8,1%, ma nel 2009 si è attestato al 3,1%. La composizione del Pil vede la progressiva diminuzione del peso dei consumi: quelli privati sono calati di circa un punto percentuale all’anno a partire dal 2005, per arrivare fino al 41,9% del 2008 (ultimo dato disponibile), mentre quelli del settore pubblico sono rimasti sostanzialmente stabili (-2% dal 2004 a oggi). Per contro l’importanza degli investimenti fissi e dell’export è cresciuta decisamente, con una battuta d’arresto solo nel 2009.
L’inflazione, rimasta abbastanza contenuta fino al 2007 (compresa tra il 2,3% del 2004 e il 3,8% del 2007), è salita all’8% nel 2008 per poi scendere nuovamente nel 2009 (4,5%). Il forte rialzo del 2008 è comune a tutti i Paesi dell’area ed è esogeno, dal momento che le cause principali sono attribuibili all’aumento di circa il 30% su base annuale dei prezzi dei beni alimentari a livello mondiale e al fatto che molte monete locali, compresa quella del Bahrain, è agganciata al dollaro americano che nel 2008 si è molto indebolito sui mercati finanziari internazionali.
E a proposito di moneta, il Mercato Comune del Golfo è stato ufficialmente varato il 1 gennaio 2008, mentre il 2010 ha visto l’avvio della creazione del Gulf Monetary Council, che nel prossimo futuro dovrebbe diventare una vera e propria Banca centrale del Golfo Persico (sulla falsariga della Banca Centrale Europea) e sovrintendere all’introduzione della Khaleeji, la moneta unica dei Paesi membri, tra i quali figurano il Kuwait, l'Arabia Saudita, il Bahrain e il Qatar. In un primo momento dovrebbero invece continuare ad adottare la propria moneta gli Emirati Arabi Uniti e l’Oman.
Ma torniamo ai fondamentali dell’economia: la disoccupazione è ufficialmente intorno al 3,8% ma secondo stime più realistiche si dovrebbe attestare complessivamente intorno al 16%, anche se il reddito pro capite medio si attesta intorno ai 33.000 dollari, in notevole crescita rispetto solo a pochi anni fa. Inoltre la disoccupazione giovanile supera il 10%, e per questo le autorità stanno cercando di sostituire dove possibile la manodopera asiatica con giovani locali prevedendo l’assunzione di circa 100.000 lavoratori locali entro i prossimi dieci anni. La mancanza di lavoro per i giovani e la presenza di una forte immigrazione (secondo le statistiche fornite dalla Central Bank of Bahrein il 49% della popolazione residente è straniera) hanno causato una serie di disordini che ha spinto il governo a modificare il mercato del lavoro favorendo una maggior flessibilità.
Per quanto riguarda infine il commercio internazionale il Bahrain dipende dall’import molto più degli altri Paesi del Golfo, e importa principalmente petrolio (dall’Arabia Saudita), alluminio (dall’Australia) e oro. Secondo gli ultimi dati disponibili i principali paesi fornitori del Bahrain sono l’Arabia Saudita (36,5%), il Giappone (6,7%), gli Stati Uniti (6,4%) e l’Inghilterra (6,2%), mentre l’Italia è più in basso nella graduatoria. L’export del Bahrain è destinato invece soprattutto all’Arabia Saudita, ai Paesi dell’Unione Europea, agli USA e al Giappone.
Il valore dell’interscambio con l’Italia, in costante crescita dal 2003 in poi, è stato superiore ai 300 milioni di euro nel 2009. Il Bahrain importa dall’Italia soprattutto macchinari e apparecchi meccanici, metallo e prodotti in metallo, macchine elettriche e apparecchiature elettriche e di precisione, mobili e prodotti dell'industria manifatturiera. I principali prodotti esportati dal Bahrain verso l’Italia sono costituiti soprattutto dai prodotti in metallo, dai prodotti tessili, dai prodotti chimici e dalle fibre sintetiche artificiali, compresi i prodotti farmaceutici. Per quanto riguarda il settore del cuoio e delle calzature, è praticamente inesistente l’import dal Bahrain (addirittura sotto i 100 mila euro nel 2008) ed è assolutamente marginale l’export dell’Italia, che pur con forti aumenti negli ultimi anni, nel 2008 aveva un fatturato di circa 6,6 milioni di euro. (Maurizio De Pra)