Atv, nata una nuova Associazione per proteggere la manualità e il Made in Italy
Fiesso d’Artico – Con lo slogan “Artigiani Terzisti Veneti sveglia che qualcuno ci fa le scarpe”, è stata presentata ufficialmente nella sala consiliare di Fiesso d’Artico, in provincia di Venezia, l’Associazione Tomaifici Terzisti Veneti creata per la tutela di un prodotto e un’artigianalità che, per molteplici fattori, stanno scomparendo dalla Riviera del Brenta. Numeroso il pubblico presente all’incontro rappresentato da imprenditori del settore, giornalisti, ma anche sindaci dei paesi interessati, rappresentanti delle forze dell’ordine e della politica.
Ma qual è stata la motivazione che ha spinto i Terzisti del settore calzaturiero a formare un’Associazione? Lo abbiamo chiesto al Presidente Federico Barison: “Le basi dell’Associazione sono state gettate nel gennaio del 2010 nel momento in cui io, insieme ad altri colleghi, abbiamo deciso di dare un’unica voce a tutte le aziende che operano nel settore della produzione, confezione, orlatura e tranciatura di componenti per calzature, in particolare le tomaie. Tra i punti di riferimento del nostro statuto, c’è l’impegno di favorire la maggiore solidarietà e collaborazione fra gli associati, contribuendo alla formazione di una coscienza ed etica comune della categoria. Con la nascita di questa Associazione, stiamo cercando di salvare le nostre piccole aziende, i nostri dipendenti e la qualità di un prodotto italiano e artigianale formato da un insieme di grande professionalità. Non bisogna dimenticare che ogni scarpa rappresenta un armonico insieme di diverse componenti, lavorate e composte da mani diverse ed ognuna abile e specializzata per ciascuna fase produttiva. Per rendersi conto di ciò, basta pensare che ogni singola calzatura è manipolata dalle 180 alle 200 volte durante il processo di realizzazione. Un apporto importante all’artigianalità di un simile prodotto viene dato anche dalle aziende che si sono raccolte nella nostra Associazione, il taglio e l’orlatura sono attività ancora affidate alle mani esperte di veri e propri artigiani, la cui formazione può richiedere anche fino a dieci anni di esperienza”.
Quali sono nello specifico le problematiche del vostro settore? “Le problematiche che più ci preoccupano sono rappresentate dalla delocalizzazione all’estero di alcune tipologie produttive da parte dei nostri principali committenti che sono i calzaturifici. Una scelta che, pur comprensibile sotto il profilo del contenimento dei costi, rischia tuttavia di snaturare un prodotto che vorrebbe continuare a fregiarsi del marchio Made in Italy. Oltre alla delocalizzazione all’estero, le nostre aziende si trovano poi a dover affrontare con sempre maggior frequenza il fenomeno dei laboratori clandestini e del lavoro non regolare che, operando al di fuori di qualsiasi normativa fiscale, di tutela dei lavoratori e di tutela della qualità del prodotto, sono in grado di offrire prestazioni in tempi e a costi insostenibili per chi, giustamente, rispetta la normativa vigente e per chi ha a cuore i diritti dei lavoratori-collaboratori. A queste situazioni si è aggiunta anche la generale contrazione economica. L’anno appena trascorso è stato per noi molto critico e quasi tutti i nostri associati sono dovuti ricorrere agli ammortizzatori sociali, qualcuno ha dovuto ridurre il personale, altri hanno chiuso definitivamente la loro attività, pur di fronte ad un incomprensibile e simultaneo aumento del numero di laboratori gestito da non italiani”. Quali sono dunque le vostre richieste e a chi sono indirizzate? In primo luogo proponiamo che venga istituito un marchio di filiera che tuteli il consumatore finale quando acquista in negozio un paio di scarpe contrassegnate dal Made in Italy, e quindi una tracciabilità delle fasi di lavorazione. Questo, secondo noi, è un elemento fondamentale per la tutela della professionalità di una zona, come la nostra, che in 20 chilometri quadrati raccoglie in se le aziende che producono le più belle scarpe del mondo. In secondo luogo intendiamo assumere ogni possibile iniziativa utile a sensibilizzare le istituzioni (autorità politiche, forze dell’ordine, magistratura), affinché la piaga dei laboratori clandestini venga repressa con la severità e la costanza che un fenomeno così grave merita anche attraverso, se dovuto, dell’adozione di quelle riforme normative che potrebbero rendersi necessarie. Attraverso la nostra Associazione intendiamo inoltre approfondire la collaborazione e il dialogo con i nostri diretti interlocutori come è avvenuto in occasione del protocollo d’intesa siglato presso l’Associazione Calzaturieri della Riviera del Brenta nel gennaio scorso che ha condotto alla stesura di un contratto tipo da adottare in caso di esternalizzazione di alcune fasi di produzione della calzatura. Pur ritenendo un passo in avanti la disciplina scritta del rapporto di subfornitura, riteniamo siano da rivedere e ridiscutere i contenuti e le clausole del contratto, e in particolare la tabella dei tempi riportata nel protocollo stesso”.
Un mestiere, quello del terzista, di grande tradizione nella storia della Riviera del Brenta che rischia dunque di scomparire. Una scommessa ormai perduta?
A mio avviso no - conclude Barison. La nostra categoria rimane fondamentale nella costruzione della scarpa e non dimentichiamo che il taglio e l’orlatura, se non eseguiti a regola d’arte, pregiudicano la qualità finale della scarpa. Molti di noi rappresentano la seconda e addirittura la terza generazione artigiana nel settore. Nonostante tanti problemi e ostacoli siamo convinti che figure come “la mistra” e il “tagliatore”, siano da tutelare e tramandare. Per questo ci stiamo confrontando con il CNA Federmoda per la creazione di una scuola che possa, attraverso corsi professionali e di insegnamento pratico nelle aziende dei nostri associati, portare avanti quel sapere artigiano che rappresenta un valore aggiunto fondamentale per una calzatura di alto livello. E in una zona, come la Riviera del Brenta, che punta all’eccellenza nella produzione di calzature non è possibile pensare di rinunciare all’apporto di una categoria che, da sempre, ha contribuito a determinare il successo delle calzature brentane nel mondo. (Diego Mazzetto)