Islanda, il ghiaccio che scricchiola
Da Paese modello a nazione sull’orlo del baratro: questa è in poche parole la storia dell’Islanda negli ultimi 24 mesi. La crisi economica e il credit crunch hanno praticamente distrutto un’economia nel complesso florida e avanzata.
I settori bancario e finanziario, che avevano pesantemente investito in titoli tossici emessi dai colossi finanziari americani, si sono trovati completamente esposti e senza possibilità di incassare la maggior parte dei propri investimenti (legati soprattutto al settore immobiliare e alla cartolarizzazione di crediti diventati inesigibili). Le maggiori istituzioni finanziarie e bancarie del Paese si sono così ritrovate a dover fare i conti da un lato con le pesantissime perdite sui propri investimenti a causa sia del repentino abbassamento del valore di mercato dei titoli detenuti (che in alcuni casi è arrivato addirittura a zero) sia della loro immediata perdita di liquidità, e dall’altro lato con la svalutazione forzata dei propri crediti.
In questa situazione si sono trovati contemporaneamente tutti i principali istituti di credito islandesi (che a ottobre 2008 sono falliti) e lo Stato, chiamato a garantire anche la possibilità da parte della popolazione di usufruire dei soldi depositati presso le banche, ha dovuto far fronte a un serio problema di solidità del sistema-Paese, aggravato dal fatto che complessivamente l’economia islandese non ha certo le dimensioni di quelle dei Paesi occidentali più evoluti. Ora la situazione sembra essersi stabilizzata e il peggio sembra essere alle spalle, tuttavia il prezzo del salvataggio dell’economia è stato pesante e l’intero processo non è certo stato indolore, dal momento che ha comportato la sostanziale svendita del proprio sistema bancario e finanziario a forze straniere (soprattutto russe) e il forte aumento del debito pubblico.
Il governo ha comunque agito tempestivamente mettendo in pratica misure concordate con il Fondo Monetario Internazionale (che ha prestato all’Islanda 2 miliardi di dollari per far fronte alla situazione), che si dichiara soddisfatto dei primi risultati raggiunti. In particolare sono stati stabiliti limiti alla circolazione dei capitali e della valuta straniera. Inoltre i tassi d’interesse sono stati mantenuti a un livello molto alto (il 18%) per impedire un aumento incontrollato dell’inflazione, anche se tutti i prezzi dei beni importati sono ovviamente aumentati. Infine, la Banca Centrale ha fissato un cambio ufficiale giornaliero per la corona islandese che è molto più favorevole di quello reale (solitamente pari a circa la metà di quello fissato nell’area Euro).
Ora come dicevamo la situazione sembra essersi stabilizzata, ma vediamo qualche dato sui principali indicatori economici islandesi, a partire dal Pil. Dopo che negli ultimi anni il Prodotto Interno Lordo aveva fatto registrare aumenti consistenti, le previsioni per il 2009 parlano di un arretramento della ricchezza nazionale del 10% circa. Tutti i settori risentiranno del calo, anche se le riduzioni più consistenti riguarderanno le importazioni di beni di consumo non essenziali (cioè praticamente tutto tranne i carburanti, le medicine, i viveri di prima necessità e i mangimi per l’allevamento del bestiame) soprattutto per il crollo della moneta.
Tra i fattori trainanti della crescita economica degli anni scorsi risultavano i massicci investimenti industriali e il forte incremento dei consumi privati, ma proprio questi fattori erano i principali responsabili dell’aumento del deficit delle partite correnti, (arrivato a toccare quasi 1,5 miliardi di euro nel 2008). Ora entrambi sono attesi in calo nel 2009, e c’è anche il rischio di un forte aumento della disoccupazione (fino ad arrivare al 10% della popolazione). La previsione sull’inflazione è invece migliore: dovrebbe infatti diminuire dopo aver raggiunto il picco massimo al 18% circa, e rimanere stabile grazie anche ai tassi d’interesse molto alti che ne frenano il rialzo.
Sul fronte del commercio estero l’Islanda, che non fa parte dell’Unione Europea, mantiene comunque stretti legami economici e commerciali con tutti i Paesi comunitari, sia per questioni geografiche che per la sua appartenenza allo Spazio Economico Europeo (SEE), che determina ampie zone di libero scambio o di commercio a dazi estremamente ridotti tra gli Stati che ne fanno parte e i membri dell’Unione Europea.
A livello complessivo nel 2008 il valore degli scambi ha registrato un aumento rispetto al 2007, con le importazioni che sono risultate pari a circa 3,13 miliardi di euro contro i 2,5 miliardi dell’anno precedente; le esportazioni sono risultate pari invece a circa 3,10 miliardi di euro (contro i circa 2,3 miliardi del 2007). Secondo i dati ufficiali, la crescita è imputabile da un lato alle maggiori esportazioni di prodotti manifatturieri e dall’altro alle più consistenti importazioni di forniture industriali.
Va poi notati che nonostante la crisi che ha investito l’economia islandese in modo generalizzato, il settore della pesca ha registrato nel 2008 una fortissima crescita passando da una quota del 33% dell’export totale islandese registrata nel 2007 a una quota del 42,5% (quasi +30% anno su anno). E questo dato è significativo soprattutto se viene letto alla luce della presenza ancora oggi di barriere all’accesso di investitori stranieri per quanto riguarda sia le flotte che le industrie di trasformazione, che valgono anche nei confronti degli operatori degli altri Paesi dello Spazio Economico Europeo.
Tra i paesi verso i quali l’Islanda esporta, l’Italia rimane un partner poco significativo, posizionandosi nel 2008 al diciottesimo posto (anche se nel primo semestre 2008 figurava addirittura in ventunesima posizione), dietro tra l’altro a Olanda (in prima posizione), USA, Germania, Giappone, Regno Unito e molti altri.
Tra i paesi fornitori dell’Islanda l’Italia figura invece al dodicesimo posto (perdendo alcune posizioni rispetto al primo semestre 2008, dove figurava in decima posizione), dietro a Norvegia, Germania, Svezia, USA, Danimarca, Cina e Olanda. Secondo dati ICE e Istituto Islandese di statistica, nel 2008 le importazioni italiane hanno raggiunto circa 23,6 milioni di euro (-44,9% rispetto al 2007), mentre le esportazioni italiane verso l’Islanda hanno totalizzato circa 93,4 milioni di euro (-24%).
Per quanto riguarda le singole categorie merceologiche, tra i prodotti esportati dall’Islanda segnaliamo le macchine e gli apparecchi meccanici (+4,7%), i prodotti chimici compresi i prodotti farmaceutici (-38%), i prodotti alimentari (-10,8%) e i prodotti in cuoio e le calzature (+0,87%). Tra i prodotti esportati dall’Italia segnaliamo invece le macchine e gli apparecchi meccanici (-54,7%), i mobili (+65,8%), le macchine elettriche e le apparecchiature elettriche e di precisione (-9,9%), i metalli e i prodotti in metallo (-6%), i prodotti alimentari (-4,4%), i prodotti della lavorazione dei minerali (-43,3%), altri prodotti dell’industria manifatturiera (+15,2%), gli articoli in gomma e materie plastiche (-17,6%), gli articoli di abbigliamento e pellicce (+15,7%) e i prodotti in cuoio e le calzature (-6,99%). (Maurizio De Pra)