I segreti del Museo Paoul a Camin


Pensando a cosa rappresenta il mondo calzaturiero brentano di oggi, con le numerose aziende all'avanguardia per tecnologia e professionalità, sorge spontanea la domanda: ma come è nato tutto questo? La risposta si puo' trovare a Camin (Padova), presso il Museo creato da Paolo Pizzocaro, titolare del calzaturificio Paoul specializzato nella produzione di scarpe da ballo e da teatro. La raccolta, che presto verra' aperta al pubblico, sorge, non a caso, a fianco della casa natia nel piccolo capannone dove ha avuto inizio la piccola industria. "Questo luogo - racconta Paolo - ha per me tanti significati. Nella casa dei miei genitori, a 6 anni, ho cominciato a conoscere il mondo delle scarpe aiutando i miei fratelli maggiori. In una stanza di 16 metri quadri a quei tempi si lavorava in 10 persone, c'erano i banchetti finissaggio e ognuno aveva il proprio compito. I bambini raspavano le suole, facevano gli spaghi e altri lavori di servizio. Allora si lavorava a domicilio, non si conoscevano orari e spesso si stava in piedi oltre la mezzanotte”. Appena aperta la porta del piccolo Museo, si torna davvero indietro nel tempo e lo sguardo coglie l’aspetto spartano di tante macchine, oggi certamente sorpassate dalla tecnologia, la cui usura racconta un passato di lungo e duro lavoro. “Ho voluto conservarle perché rimanesse una testimonianza di come si operava un tempo - prosegue Paolo. Dal punto di vista commerciale hanno il valore del ferro vecchio, ma dal punto di vista affettivo per me non hanno prezzo”. La visita prosegue poi tra le macchine più disparate, ognuna valorizzata nel proprio piedistallo. Una di esse, attira la nostra attenzione. “Questa macchina l’ho fatta io con le mie mani – spiega Paolo – mi serviva una monta boette e così con un po’ di buona volontà e inventiva l’ho costruita e devo dire che nel tempo mi è stata molto utile”. Nelle vetrinette si notano le prime scarpe uscite dalle mani della famiglia Pizzocaro e mille altri oggetti: ognuno con la propria storia da raccontare. Così come la credenza in stile barocco degli anni 1950-60 che ha rappresentato per tanti anni l’ufficio dell’azienda. Sopra ad essa la macchina da scrivere meccanica per le fatture e la corrispondenza. Su un angolo i cataloghi, molto semplici, con disegni di scarpe abbozzati che per anni hanno permesso di illustrare e far vendere i modelli ai clienti. Accanto alla credenza due grosse valigie usurate dal tempo raccontano di tanti viaggi con il campionario al seguito. “Oggi farebbero sorridere – commenta Paolo – ma quarant’anni fa erano insostituibili”. Una splendida e rara bicicletta da ciabattino, il vecchio registratore cassa, e altri oggetti dai molteplici significati catturano l’attenzione prima dei saluti. Nel muro, in alto, si nota un quadro di buona fattura che raffigura due mani che si incontrano. “L’ho dipinto io - esclama Paolo – e rappresenta l’unico modo che si conosceva un tempo per fare affari: una stretta di mano che valeva più di qualunque contratto scritto”. Ecco dunque raccontato un aspetto della storia calzaturiera del distretto della Riviera del Brenta che, attraverso tanti valori e sfaccettature può, forse, spiegare le ragioni di tanto successo nel mondo. (Diego Mazzetto)
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