Ancora un trimestre di transizione
L’avvio del 2009 per le calzature italiane si preannuncia ancora difficile. I dati Istat confermano infatti che l’export del made in Italy ha subito a gennaio una contrazione del 3,3% rispetto a un anno fa, facendo calare il fatturato complessivo a 595 milioni di euro (dai 616
milioni). Le importazioni hanno invece fatto segnare, nello stesso periodo, una crescita in termini monetari del 17%, portandosi a ridosso dei 360 milioni di euro (erano 307 milioni).
La dinamica dell’export evidenzia per le calzature italiane una sostanziale tenuta in area Ue (-0,1%), grazie a un consolidamento delle vendite in Francia (+8,1%) e Belgio (+1,4%), controbilanciato da un meno 3,2% in Germania e da riduzioni nell’ordine del 3,5% nel mercato britannico e del 12,5% nei Paesi Bassi. Stabile la Spagna, mentre in Austria registra un più robusto meno 7,4%.
Fuori dal perimetro comunitario l’export si è ridotto complessivamente dell’8,5% rispetto al gennaio 2008, incorporando nel dato complessivo riduzioni nell’ordine del 18,3% in Usa e del 2,2% in Svizzera. Positivo il dato delle esportazioni in Russia, dove il calzaturiero italiano
ha messo a segno un progresso dell’1%, ribaltando la dinamica negativa dell’ultimo trimestre 2008 (-21,1%). Migliora il Giappone (+2,5%) e Hong Kong (+9,3%), mentre accusa un meno 16% negli Emirati Arabi Uniti. Sul versante delle importazioni, il balzo in avanti di gennaio, sempre nel confronto annuale, riflette principalmente l’aumento del 10,7% della spesa legata agli acquisti dalla Cina. In crescita anche l’import da
Belgio (+7,9%), Tunisia (+73,1%), Indonesia (+48,9%) e India (+21%), mentre arretrano del 6,5% il Vietnam e dell’8,8% la Romania.
Se questi sono i numeri, non resta che rimboccarsi le maniche. La nostra intervista di Diego Mazzetto al presidente dell’Acrib Giuseppe Baiardo sull’ultimo numero di Business Shoes ha fatto discutere in Rivera del Brenta e non solo. Il suo invito era a investire maggiormente in questo momento di crisi. E a produrre altrove, se è il caso.
Ed è quello che dice anche la Banca d’Italia nell’ultimo “Rapporto sulle tendenze nel sistema produttivo italiano”. Il valore aggiunto, spiegano gli analisti di Via Nazionale, tende a generarsi sempre meno nell’attività di produzione in senso stretto e sempre più in quelle attività che precedono, accompagnano e seguono la fase della produzione. In particolare, “nel settore delle calzature e dell’abbigliamento le imprese di successo intervistate segnalano un netto spostamento della manodopera occupata dalla produzione, coordinata dall’impresa ma svolta al di fuori di essa, spesso all’estero, verso le attività di creazione del marchio e di design del prodotto”. Un processo che negli anni recenti è apparso più pronunciato nei settori tradizionali, quelli cioè maggiormente esposti alla concorrenza dei paesi emergenti.
Le attività a monte della produzione comprendono la creazione di un prodotto (ricerca & sviluppo, design), l’ideazione e il sostegno di un marchio (pubblicità, marketing), le attività ausiliarie alla produzione, più specificamente l’organizzazione dei processi, nonché il massiccio utilizzo delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione. E
su questo punto la strada è ancora molta da fare.