Re Enrico III tra le ville della Riviera del Brenta
"Allora maestà, è di vostro gradimento il soggiorno a Venezia?" - chiese il Doge Alvise Mocenigo al giovane re Enrico III mentre a bordo del bucintoro salutava la folla che assiepava festosamente le rive del canal grande. "Mai, nella mia vita ho visto tanta bellezza" – esclamò il re non nascondendo l’ammirazione che provava per le splendide donne che dai balconi dei palazzi protesi sul canalazzo assistevano ai festeggiamenti. Con sguardo sornione, il doge sorrise all’illustre ospite mentre l’imbarcazione scivolava lentamente in direzione di Palazzo Foscari; la principesca dimora scelta dalla Repubblica per il soggiorno veneziano del futuro re di Francia e Polonia.
Martedì 27 luglio 1574, salutando con riconoscenza il doge, Enrico III lasciava Venezia diretto in patria. Il corteo regale iniziò il suo viaggio risalendo il Brenta e, giunto a Malcontenta si fermò presso la villa dei Foscari dove era atteso per un pranzo offerto dalla Serenissima. Nel momento in cui l’imbarcazione con il re superò l’ansa del fiume, quasi per incanto apparve la splendida dimora dei Foscari pensata alcuni anni prima dal genio di Andrea Palladio. Sulla maestosa scalinata erano in attesa i padroni di casa che subito diedero ordine ai musicisti di intonare soavi melodie. Le ricche tavole erano imbandite con ogni ben di Dio. Splendevano fontane d’argento, cucchiai dorati, coltelli con il manico niellato da figurine, stemmi e fregi. Tra le stoviglie gareggiavano per eleganza le maioliche e le porcellane più ricercate e destavano meraviglia i bicchieri di Murano dalle forme bizzarre e dai mille colori. Sedendosi a mensa Enrico III abbozzò un mezzo sorriso nel momento in cui prese in mano la curiosa salvietta a forma di barca. "Qualcosa non va, Sire?" – chiese un patrizio di casa Foscari seduto a fianco del re. "No, no, non vi preoccupate amico, stavo solo tornando indietro con la memoria al pranzo di qualche giorno fa avvenuto a Palazzo Ducale. Voi non c’eravate? Eravate qui in campagna? Ah, un vero peccato. Pensate, in luogo del trono ducale era stata allestita un’immensa credenziera contenente oggetti d’oro e d’argento di enorme valore. Tutti gli oggetti disposti sulla tavola – e per questo prima sorridevo – erano di zucchero: il pane, i piatti, i coltelli, le forchette, le tovaglie e naturalmente le salviette; oggetti così ben imitati che rimasi meravigliato nel momento in cui uno di essi mi si ruppe tra le mani".
"Dunque, vostra Altezza è rimasta soddisfatta della visita in laguna?" – chiese il nobile Foscari con una punta d’orgoglio. "Vi confido che mai ho goduto di una simile accoglienza, e vi assicuro che porterò per sempre Venezia nel mio cuore, ma anche l’ospitalità che voi mi avete riservato nella vostra meravigliosa dimora immersa nel verde della campagna". – “Partirete subito per la Francia Sire?" – si intromise un patrizio di casa Soranzo che aveva assistito al dialogo. "Devo amico, dopo la morte di mio fratello il popolo mi attende e non posso deluderlo". Un caldo sole aveva accompagnato la giornata in villa di Enrico e mai come in quel giorno il re si era sentito così in pace con se stesso. "Scusate Maestà, l’imbarcazione è pronta"- esclamò un ambasciatore. "Certo, arrivo, rispose il re”. Dopo aver salutato calorosamente, il corteo regale si mise in viaggio. Giunto a Mira, il re rimase colpito dal palazzo del procuratore Federico Contarini e manifestò il desiderio di visitarlo. Il Contarini era un personaggio colto e molto influente a Venezia. Egli era amico degli artisti allora più in voga: Andrea Palladio e Jacopo Sansovino erano tra i più assidui frequentatori della sua abitazione in Procuratia. Non ebbe perciò problemi Federico ad intrattenere l’illustre ospite e mostrargli la sua famosa collezione di "anticaglie" greche e romane conservate in villa e di cui il Contarini era considerato un indiscusso esperto. La regale visita avvenuta in un torrido giorno di fine luglio lasciò un lungo ricordo nei paesi affacciati sul Brenta. Dopo quasi duecento anni dall’avvenimento la famiglia Pisani, subentrata ai Contarini nel possesso della villa di Mira, volle infatti affidare a Giambattista Tiepolo l’incarico di affrescare nei saloni della nobile dimora i momenti in cui il re Enrico III arrivava dal Brenta con il suo seguito per essere ospitato dal procuratore Federico Contarini. Affreschi che per la loro bellezza furono ben presto conosciuti e ammirati dagli studiosi. Purtroppo la finezza degli affreschi non attirò solo studiosi disinteressati. Nel 1893 il collezionista francese Edouard Andrè, figlio di un ricchissimo banchiere, durante un viaggio a Venezia scoprì il capolavoro tiepolesco e a suon di denari ottenne dalla famiglia Gorzkowsky, allora proprietaria della villa, il permesso di effettuare lo strappo degli affreschi e condurli ad ornamento della propria casa parigina, poi trasformata in museo, dove tuttora si trovano divisi tra diverse sale.
Un deprecabile episodio che insieme ad altre analoghe circostanze ha contribuito, in epoche neanche poi tanto lontane, ad impoverire le sponde del fiume Brenta: l’ideale prolungamento del Canal Grande di Venezia che per secoli ha suscitato l’ammirazione di artisti e poeti. (Diego Mazzetto)